Corte europea dei diritti dell’Uomo

La Corte europea dei diritti dell’Uomo, con sede a Strasburgo, è l’organo giurisdizionale volto ad assicurare il rispetto della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (CEDU), firmata a Roma nel 1950, ratificata e resa esecutiva nel nostro Paese con la legge 4 agosto 1955, n. 848.

La Corte è competente a giudicare «tutte le questioni riguardanti l’interpretazione e l’applicazione della Convenzione e dei suoi Protocolli» (art. 32 della CEDU) e può essere adita una volta esauriti i rimedi interni previsti dal diritto nazionale, in omaggio ai principi di sovranità dello Stato, di dominio riservato e di sussidiarietà, per i quali uno Stato prima di essere chiamato a rispondere di un proprio illecito sul piano internazionale, deve avere la possibilità di porre termine alla violazione all’interno del proprio ordinamento giuridico. Il ricorso può essere proposto sia da ciascuno Stato contraente (c.d. ricorso interstatale) sia (ed è questa una delle norme chiave del sistema di tutela dei diritti umani) da una persona fisica, da un’organizzazione non governativa o da un gruppo di individui (c.d. ricorso individuale); in entrambi i casi il ricorso va proposto nei confronti di un Stato contraente: non sono dunque ammessi atti diretti contro privati (persone fisiche od istituzioni).

La Corte, laddove accolga il ricorso, accerta la violazione della Convenzione o dei suoi Protocolli da parte dello Stato interessato e, conseguentemente, determina a carico di quest’ultimo l’obbligo di rimuovere gli effetti dannosi della violazione commessa, attraverso il ripristino (dello stato quo ante) della situazione precedente la violazione stessa.

Il giudizio della Corte può esaurirsi nel momento in cui essa rilevi che, a seguito della pronuncia di accertamento della violazione della CEDU o dei suoi Protocolli aggiuntivi, lo Stato, conformemente a quanto previsto dall’art. 46 della Convenzione, ha eliminato integralmente in capo alla vittima il pregiudizio derivante dalla lesione del diritto di questa.

In caso contrario, la Corte può riconoscere alla parte lesa, che ne abbia fatto specifica richiesta, “un’equa soddisfazione” (art. 41 CEDU), consistente nella valutazione equitativa dei danni morali (relativi allo stress ed agli altri turbamenti soggettivi) e dei danni materiali causati alla vittima dalla violazione, nonché delle spese ed onorari di giudizio “reali necessari e ragionevoli” affrontate. La domanda volta ad ottenere “un’equa soddisfazione”, nella quale devono essere esposte e quantificate le pretese del ricorrente, viene trasmessa al Governo convenuto affinché possa produrre le proprie osservazioni al riguardo.

La Corte europea, una volta accertata la violazione di uno dei diritti garantiti dalla Convenzione o dai suoi Protocolli, può pronunciarsi con la stessa sentenza circa l’applicazione dell’art. 41 CEDU. Laddove, viceversa, ritenga la questione non ancora matura per la decisione sull’equa soddisfazione, la Corte si può riservare di pronunciarsi circa il quantum dovuto alla parte lesa, fissando il successivo procedimento.

L’Ufficio Contenzioso sovrintende e coordina le attività concernenti il contenzioso dinanzi alla Corte europea, per il tramite di un apposito Servizio, dal momento della comunicazione del ricorso al Governo alla fase del monitoraggio sull’esecuzione delle sentenze di condanna, mantenendo rapporti con l’Agente del Governo, con l’Avvocatura generale dello Stato, con la Rappresentanza permanente d’Italia presso il Consiglio d’Europa e con le amministrazioni interessate.