Stati generali della diplomazia, l'intervento del Sottosegretario Mantovano
16 Dicembre 2024
Il Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio, Alfredo Mantovano, è intervenuto oggi all'incontro dal titolo "Sicurezza cibernetica, minacce ibride, intelligenza artificiale", nell'ambito degli Stati generali della diplomazia, in corso presso la sede del Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale. All'incontro, aperto da un saluto del Ministro Antonio Tajani, ha partecipato anche il Ministro della difesa, Guido Crosetto.
Di seguito il testo dell'intervento del Sottosegretario Mantovano.
Evgeny Messner era stato un ufficiale dell’Esercito Imperiale Russo. Verso la metà del secolo scorso mostrava un certo dissenso verso la massima di van Clausewitz secondo cui “La guerra è la continuazione della politica [cioè della diplomazia] con altri mezzi”. A suo avviso il concetto è obsoleto. “(…) obsoleto perché la chiara distinzione tra la fase in cui i diplomatici fanno il loro lavoro e quella in cui gli strateghi svolgono il proprio è stata cancellata. La linea tra pace e guerra è stata cancellata. Non c’è più alternanza: pace, guerra – guerra pace. La pace si intreccia con la guerra, la guerra con la pace, la strategia con la diplomazia”.
Sembrano considerazioni più attuali adesso rispetto a 70 anni fa.
Messner si muoveva in un mondo in cui era forte la convinzione che la deterrenza nucleare della Guerra Fredda obbligasse i due blocchi a confrontarsi con modalità che non implicassero lo scontro militare vero e proprio. Iniziative come il sostegno a gruppi eversivi nel territorio dell’avversario, la creazione di campagne di influenza sull’opinione pubblica, la conduzione di azioni sovversive tramite quelli che oggi chiamiamo “proxy”, tutto ciò avrebbe creato, tra la “guerra” e la “pace”, diverse gradazioni intermedie, come la “mezza-guerra” o la “diplomazia aggressiva”.
In tale ottica la “guerra ibrida” non è un’idea nuova. L’espressione ha avuto fortuna in Occidente da quando, nell’estate 2014, l’allora Segretario Generale della NATO Rasmussen la usò per descrivere l’azione russa nell’Ucraina orientale.
C’è però qualcosa di radicalmente nuovo rispetto al passato. E il nuovo è l’innovazione tecnologica degli ultimi decenni: essa, unitamente alle interdipendenze sviluppate tra gli Stati con la globalizzazione, ha creato i presupposti per rendere la guerra ibrida più efficace di quanto si immaginasse negli anni Cinquanta.
I due ambiti richiamati nel titolo – “cyber” e “intelligenza artificiale” – costituiscono la manifestazione più evidente di questo.
Sulle capacità degli attacchi cyber di mettere a rischio la sicurezza nazionale mi ero intrattenuto lo scorso anno. Mi limito oggi a confermare la validità delle considerazioni svolte allora. Mi riferisco in particolare alla necessità di un salto culturale nella percezione del problema della cybersicurezza e alla opportunità di una più stretta collaborazione tra tutte le strutture, compreso il mondo diplomatico, e ACN.
A questo giro mi soffermo sull’intelligenza artificiale, che proprio negli anni 1950 inizia a svilupparsi grazie agli studi di Turing.
Le potenzialità offerte dall’I.A. sono enormi, a cominciare dalla capacità di “creare” realtà virtuali, irreali ma credibili.
A volte possono strappare un sorriso: penso al video fake del bacio tra la Presidente del Consiglio ed Elon Musk, pubblicato sui social pochi giorni fa. Altre volte viene meno da ridere, come nel caso dei video falsi – bloccati dalla CONSOB appena quattro giorni or sono – che, sempre grazie all’I.A., ritraevano la Presidente del Consiglio e il Presidente della Repubblica mentre pubblicizzavano servizi finanziari abusivi online, con la promessa di guadagni impossibili, anche 40mila euro al mese.
Altre volte ancora il livello della minaccia si eleva, e mette a rischio direttamente la sicurezza nazionale, perché trasforma l’intelligenza artificiale in un vero e proprio strumento di guerra ibrida.
Emblematico è l’annuncio fatto da ISIS, a maggio scorso, di aver realizzato il suo primo “notiziario”, interamente con l’I.A. Ciò consentirà allo Stato Islamico di inondare ancora di più il web di materiale propagandistico, realizzato con contenuti frutto di manipolazioni o con veri e propri deep fake, per alterare la percezione degli utenti dei social, soprattutto dei giovanissimi, i più inclini a rispondere al richiamo islamista.
Il che preoccupa ancor più in prospettiva, poiché la tecnologia utilizzata dall’ISIS appare già superata: la scorsa settimana OpenAI, ha lanciato una nuova piattaforma, denominata SORA, che consente di creare video a partire da semplici istruzioni di testo scritto. Secondo Sam Altman, amministratore delegato della società, SORA “è in grado di comprendere l'esistenza di oggetti nel mondo fisico, e interpreta accuratamente le istruzioni per generare personaggi convincenti che esprimono emozioni vibranti”.
Pensiamo all’effetto che video prodotti da attori ostili con simili tecnologie potrebbe avere ai fini del reclutamento terroristico e sull’integrità dei processi democratici, in particolare sulle elezioni; pensiamo alla stabilità finanziaria della Nazione, sempre molto precaria, per la quale conta molto la percezione del sistema-Paese.
Non è semplice contrastare con efficacia queste minacce. Gli strumenti tecnici a disposizione sono ancora imperfetti: alcuni sono basati sull’intelligenza artificiale, come gli algoritmi usati dalle piattaforme social per contrastare la disinformazione e gli hate speech.
Viene in mente quanto è accaduto a luglio: nel pieno della campagna elettorale americana, Facebook ha censurato un’immagine autentica di Trump colpito dall’attentato in Pennsylvania perché valutata come “artefatta”. L’I.A. di Facebook non ha saputo distinguere questa foto da un’altra simile, questa sì artefatta, in cui gli uomini della sicurezza erano rappresentati sorridenti. Qual è stato il problema? Che prima che l’immagine vera fosse “riabilitata” e tornasse a circolare sono trascorse due settimane: un tempo lunghissimo in campagna elettorale, tanto più nell’era dei social.
Problemi ancora maggiori sorgono quando le piattaforme – per contrastare la diffusione di contenuti ritenuti destabilizzanti – giudicano sommariamente quanto postato on line, secondo criteri che lasciano perplessi e che sono criteri umani, non artificiali. Con la conseguenza che, nel tentativo di contrastare attacchi ibridi ostili, si pregiudica l’esercizio di diritti fondamentali, come quello di informazione e di espressione del pensiero.
Porto un esempio che mi ha toccato personalmente: poco più di due anni fa l’account Facebook di “Aiuto alla Chiesa che soffre”, una fondazione che si occupa di cristiani perseguitati - ne sono stato Presidente per sette anni prima di assumere l’attuale incarico - viene sostanzialmente bloccato poiché alcuni utenti avevano segnalato otto post per i contenuti ritenuti “forti o violenti”. Fra i post censurati, uno conteneva la foto dei ventuno cristiani copti ortodossi, uccisi nel 2015 dai jihadisti dell’ISIS sulla spiaggia di Sirte, in Libia. L’immagine era stata pubblicata per ricordarne il sacrificio e per sensibilizzare sulla sorte della persecuzione a causa della fede: Facebook l’ha valutata una forma di incitamento ad azioni terroristiche. Con gli stessi parametri anche il Crocifisso non avrebbe titolo a essere mostrato in pubblico. Chi controlla i controllori? Chi verifica i parametri di verifica?
Dilatando lo sguardo, al di là dell’adozione di singole, specifiche misure, il contrasto alle minacce ibride in campo tecnologico si realizza anzitutto rafforzando la capacità dell’Italia e dell’Europa di generare innovazione nei settori più avanzati.
Le competenze necessarie in teoria non mancherebbero. Secondo l’Artificial Intelligence Index Report 2024 dell’Università di Stanford, l’Italia si colloca al 4° posto in Europa per il numero di laureati magistrali in materie informatiche, e al 3° per il numero di dottori di ricerca, dopo Germania e UK.
Siamo però deboli quanto alla capacità di trasferire l’innovazione sviluppata negli ambienti accademici e della ricerca nel mondo industriale. Il che rischia di non valorizzare il capitale umano a disposizione, che anche per questo decide di emigrare.
Per invertire la rotta il Governo sta investendo risorse considerevoli. Nel DDL sull’intelligenza artificiale, attualmente in discussione in Parlamento, si prevede fino ad 1 miliardo di euro da investire in favore di PMI operanti nei settori delle tecnologie più avanzate (non solo IA ma anche 5G, quantum computing, ecc.); i fondi saranno gestiti coinvolgendo CDP venture capital, affinché siano erogati con un accompagnamento a 360° delle nascenti imprese, così da non trasformarsi in “soldi a pioggia”.
Un altro importante, recente investimento fatto dal Governo è quello legato al progetto IT4LIA AI Factory – 430 milioni di euro, finanziati insieme alla Commissione Europea – che porterà a realizzare un Supercomputer ottimizzato per l’I.A., da installarsi nel Tecnopolo di Bologna, già punto di riferimento europeo per supercomputing, big data, intelligenza artificiale e calcolo quantistico.
La nuova infrastruttura avanzata sarà una delle prime al mondo e leader in Europa per capacità di elaborazione dell’I.A. L’iniziativa mira a creare un ecosistema aperto, competitivo e integrato a livello europeo; si focalizzerà sul supporto a startup e a PMI, privilegiando i settori strategici per l’economia nazionale come l’agroalimentare, la cybersecurity, lo studio della terra e il manifatturiero.
La determinazione dimostrata dal Governo sta convincendo anche importanti investitori esteri. Cito, tra tutti, Microsoft, che appena due mesi fa ha annunciato un ingente investimento da 4,3 miliardi di euro nei prossimi due anni proprio nel campo dell’I.A. e del cloud computing, per espandere la sua infrastruttura di Data Center di Intelligenza Artificiale, oltre a un piano di formazione per far crescere le competenze digitali di oltre 1 milione di italiani entro la fine del 2025.
Un’ultima riflessione e chiudo. Uno sforzo strategico di questo tipo va supportato anche fuori dei confini nazionali. E qui entrate in gioco voi.
Nell’agone internazionale abbiamo ottimi progetti da proporre e da realizzare, come l’“Hub di I.A. per lo Sviluppo Sostenibile” nell’ambito del Piano Mattei, volto a favorire l’acceso alla capacità di calcolo, potenziando infrastrutture, rafforzando competenze tecniche e sostenendo la crescita di start-up africane. Ci confrontiamo con Stati, soprattutto quelli geopoliticamente non allineati all’Occidente, che supportano in modo attivo e strutturato le proprie imprese in giro per il mondo. Spesso lo fanno con modalità che ricordano molto da vicino le parole di Evgeny Messner citate in apertura: “la chiara distinzione tra la fase in cui i diplomatici fanno il loro lavoro e quella in cui gli strateghi svolgono il proprio è stata cancellata”.
Non possiamo, e non vogliamo, inseguire modelli in cui il ruolo delle imprese nazionali e quello degli apparati di governo finiscono per non distinguersi: nessuna confusione di ruoli! Ma migliorare la nostra capacità di “fare squadra” questo si può e si deve fare. Il mondo diplomatico può a tal fine giocare un ruolo importante.
Intanto aiutando le nostre imprese a inserirsi e ad affermarsi all’estero: è una prospettiva non nuova, l’aveva immaginata per primo Silvio Berlusconi, oltre un ventennio fa. Va nuovamente declinata, perché arrecherebbe vantaggi alle aziende e allo Stato, e arricchirebbe del ricco patrimonio informativo e relazionale detenuto dagli operatori economici attivi fuori dai confini.
Di recente il Governo si è impegnato in un tentativo per rafforzare ulteriormente la capacità nazionale di fare squadra, in un’ottica di tutela dei nostri interessi nazionali, non di carattere meramente difensivo bensì pure proattivo: quel che viene chiamato soft power.
Mi riferisco alla scelta di trasformare Med-Or da fondazione di Leonardo a grande “fondazione per l’Italia”, ampliando la base (ne sono divenuti soci CDP, Enel, Eni, Ferrovie dello Stato, Fincantieri, Poste, Snam, Terna) e riformando il Comitato Strategico. Di esso fanno parte non soltanto le aziende che ho menzionato, ma anche il Consigliere Diplomatico della Presidenza del Consiglio dei Ministri e i Capi di Gabinetto di tutti i Ministeri membri del Comitato Interministeriale per la Sicurezza della Repubblica (CISR), tra cui il MAECI.
Come si evince dalla composizione del Comitato, il vostro ruolo sarà fondamentale. Colgo l’occasione per ringraziarvi del contributo che in quella sede vorrete offrire in termini di informazioni, di punti di vista e di analisi, essenziali per elaborare – e insieme attuare – una visione strategica, davvero condivisa. Una visione che costituisce il primo, fondamentale presidio contro qualsiasi minaccia alla nostra sicurezza, incluse quelle che ci appaiono in forme ancora inedite.