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Comunicazioni in vista del Consiglio europeo del 26-27 ottobre, la replica alla Camera dei Deputati

Mercoledì, 25 Ottobre 2023

La ringrazio, Presidente e ringrazio i colleghi che sono intervenuti nel dibattito. Io come sempre, anche per non dilungarmi troppo, risponderò ad alcune sollecitazioni che ho avuto, particolarmente dagli esponenti della opposizione, tornando su alcune valutazioni sulle quali forse vale la pena di offrire qualche elemento in più o su alcune cose che non ho ovviamente condiviso. Chiaramente potrei saltare da un tema all'altro e poi tornarci, mi perdonerete, ma ho preso appunti mentre scrivevate.

Voglio dire all'onorevole Demonte che sono d'accordo, parlando della crisi mediorientale, al riferimento che lei faceva circa il fatto che le divisioni interne che sono state palesi, nei primi giorni della crisi, tra i vertici delle istituzioni europee non hanno giovato al ruolo dell'Europa in questa fase. Lo dico perché mi sono permessa di segnalare questo punto nel Consiglio europeo che noi abbiamo già avuto in video-collegamento la settimana scorsa e intendo tornare su questo punto. Sono d'accordo chiaramente con i tanti riferimenti che sono stati fatti al ruolo centrale che un'Europa politica, che un'Europa che abbia una seria e visibile posizione di politica estera possa giocare, in questa fase molto delicata della crisi internazionale, che, devo dire, in questo dibattito è stata colta da molti - non da tutti, ma è stata colta da molti la gravità del momento nel quale ci troviamo – e, come io ho ampiamente detto, nella mia relazione di questa mattina, credo che l'Italia, l'Italia particolarmente  e sicuramente per il ruolo di ponte che storicamente svolge tra Europa e Medio Oriente, ma soprattutto l'Europa, abbia un ruolo fondamentale in una situazione che oggettivamente è molto complessa.

Io voglio dire al collega Amendola che ho condiviso molte cose di quelle che lui ha detto, ho condiviso l'aver colto la gravità di quello che sta accadendo e la gravità che ciascuno di noi sente sulle proprie spalle - ogni singola parola che dice, ogni singolo gesto che compie, ogni singola telefonata che fa. Perché non ci possiamo nascondere che questa realtà, che è la realtà - io l'ho detto ampiamente stamattina - di quello che sta accadendo in questi giorni in Medio Oriente, può diventare una slavina, può allargarsi e arrivare a disegnare scenari che oggi sono per noi inimmaginabili e il confine che ci separa da uno scontro di civiltà, il confine che ci separa da un conflitto che rischia di essere molto ampio non è quello delle nostre piccole beghe interne, ma è cercare di capire davvero che cosa sia accaduto, che cosa stia accadendo. Nessuno ha la pretesa di avere tutte le risposte in tasca.

La prima domanda che io mi sono fatta quando ho visto quelle scene, lo scorso 7 ottobre, è: che bisogno avevano i miliziani di Hamas di mettere una telecamera sulla loro fronte per andare a riprendere scene così impensabili, come la decapitazione di bambini, gente che balla sui cadaveri di ragazze prelevate durante una manifestazione musicale? Perché, lo ripeto, perché? Anche nel mondo islamico, anche nel mondo arabo ci sono delle madri, no? E probabilmente quelle madri quando vedono quelle immagini non si sentono fiere; quindi, perché? La risposta che io ho dato a questa domanda è che la causa palestinese non c'entrava assolutamente nulla e che quello che Hamas stava facendo e voleva fare con quelle immagini era esattamente garantire, produrre, provocare, spingere Israele a una risposta tale da compromettere qualsiasi possibilità di normalizzazione dello scenario mediorientale. Perché? Perché - l'ho detto stamattina e lo ribadisco a voi, perché non l'ho fatto in quest'Aula - la strategia che hanno i fondamentalisti è una strategia di lungo periodo; quella strategia è rendere Israele una terra inospitale, fare in modo che la gente scappi, che non ci si possa crescere i propri figli, che non ci si possa vivere in pace.

E qual è il più grande nemico di questa strategia? Gli accordi di normalizzazione che alcuni Paesi arabi, particolarmente alcuni Paesi del Golfo, stavano portando avanti con Israele. Era il più grande nemico di questa strategia e quindi il target di quello che è accaduto, non è solo Israele, ma sono anche i Paesi arabi, che hanno tentato di normalizzare i loro rapporti con Israele.

Questa è la realtà di quello che sta accadendo e, chiaramente, è molto difficile lavorare per evitare questa escalation. Ed è la ragione per la quale io ho voluto partecipare personalmente alla conferenza de Il Cairo; l'Italia è stata l'unica Nazione del G7 a partecipare a livello di leader, perché io credo che la priorità adesso sia continuare a mantenere il dialogo con i Paesi arabi che non vogliono cadere in questa trappola.
E questo mi pare che sia stato colto. Dopodiché, sono d'accordo - collega Amendola, e mi rivolgo anche agli altri che lo hanno detto - sul fatto che la cosa più seria in assoluto che noi possiamo fare in questo momento sia lavorare per mettere in campo un'azione concreta e che abbia una tempistica definita per la soluzione della crisi israelo-palestinese, perché questo è l'unico modo che abbiamo, non solo - dalle crisi può sempre nascere anche un'occasione -, per risolvere un conflitto che ci trasciniamo, come sappiamo, da decenni, ma anche per svelare il bluff di Hamas, che si copre dietro la causa palestinese per fare una cosa che con la causa palestinese non c'entra nulla e della quale i civili palestinesi e perfino le istituzioni palestinesi sono vittime, esattamente come tutti noi.
Ora, però, dov'è che la questione diventa complessa? Ho sentito diversi interventi, per esempio del collega Bonelli, e c'è un detto che dice: “la verità viene sempre dopo il ma”, perché, certo, condanniamo tutti Hamas, “ma”. E, qui, credo che bisogna fare un supplemento di riflessione, collega Bonelli, e, anche qui, beato chi ha tutte le risposte in tasca. Chiaramente, io ho ribadito questa mattina che i civili sono civili di qualsiasi nazionalità siano, in qualunque terra vivano e che la differenza tra quello che fa un'organizzazione come Hamas e quello che deve fare uno Stato è che uno Stato non basa la propria risposta su un sentimento di vendetta, ma deve commisurare la sua forza, deve stare nel diritto internazionale - sono d'accordo su quello che si diceva sul diritto internazionale -, però questo è purtroppo un tema molto spinoso perché la Striscia di Gaza è un lembo di terra dove vivono circa 2 milioni di persone e dove i miliziani di Hamas si nascondono sotto terra. Quindi, questa è la ragione per cui Israele ha chiesto nei giorni scorsi di evacuare i civili, perché è obiettivamente difficile riuscire a rispondere “targhettizzando” quella risposta sul terrorismo senza che ci siano dei danni collaterali. È per questo che è molto difficile quello che sta accadendo. Perché? Perché di contro, signori, quando si dice cessate il fuoco - e chiaramente tutti quanti vorremmo che il conflitto non vedesse un'escalation - si dice anche Hamas rimane lì, si dice anche che domani può accadere di nuovo, si dice anche che potrebbero esserci altri civili innocenti che muoiono; significa, in qualche modo, dire anche che in fondo Israele non ha poi così tanto il diritto di difendersi. Quindi, noi cerchiamo di costruire ogni giorno questo equilibrio per impedire che da una parte e dall'altra i civili muoiano, per garantire che ci sia una soluzione a questo conflitto, per garantire che Israele possa anch'essa difendere la sua sicurezza e i suoi cittadini.

Che cos'è che non mi torna in alcuni degli interventi che ho sentito? Che c'è una differenza, perché mi è sembrato che in alcuni casi si mettessero sullo stesso piano le due cose. C'è una differenza, colleghi, tra entrare in casa di qualcuno, guardare un neonato, tagliargli la testa e chiedere alle persone di evacuare perché non si vogliono coinvolgere i civili. Vi prego: non ditemi che le due cose sono uguali, non ditemi che le due cose sono uguali! Ma questo non vuol dire che non sia uguale il valore dei civili ed è esattamente questo ciò su cui ci stiamo spendendo: capire come si faccia a garantire una risposta necessaria verso i terroristi senza coinvolgere la popolazione civile. Quello che sto cercando di spiegare è che, purtroppo, c'è qualcuno che si fa volutamente scudo della popolazione civile e questo rende le cose, purtroppo, molto complesse in questa fase. È la ragione per la quale ogni giorno, passo dopo passo, parola dopo parola, cerchiamo di trovare questo difficile equilibrio.

Dopodiché, cambio tema - non so se c'era altro che volevo dire sulla crisi, ma mi pare che questo argomento sia stato esaurito. È stato citato da diverse parti il tema della migrazione. Voglio dire al collega Soumahoro che non sono affatto d'accordo quando parla di non difesa della dignità umana negli accordi con la Tunisia e non so a che cosa faccia riferimento. Io continuo a ritenere che se non si vuole difendere la dignità umana il modo migliore è quello di favorire i trafficanti di esseri umani e non è ciò che sto cercando di fare. Io penso proprio che per difendere la dignità umana delle persone si debba approcciare la questione migratoria in maniera completamente diversa: lo si deve fare offrendo ai Paesi di origine e di transito una cooperazione allo sviluppo, che non è predatoria. La prego, non mi parli di neocolonialismo, perché io sto cercando proprio di dire che l'approccio dev'essere completamente diverso da quello che si è visto non solo nel periodo coloniale ma anche più di recente verso i Paesi africani. L'Africa non è un continente povero - l'ho detto tante volte -, ma è un continente estremamente ricco. È un continente che con i giusti investimenti, con la giusta attenzione e con il giusto rispetto può vivere un futuro decisamente migliore di quello che vive nel presente, dove, purtroppo, l'atteggiamento dei Paesi esteri è spesso stato, invece, un atteggiamento predatorio.
 È esattamente la ragione di quello che muove l'accordo con la Tunisia ed è anche la ragione di quello che ha mosso i problemi dell'accordo con la Tunisia, perché, guardi, l'ho detto questa mattina al Senato e lo ripeto anche a lei: quello che io sto cercando di fare con un Paese che è in difficoltà è una partnership strategica, cioè un accordo che prevede, per una Nazione in difficoltà, investimenti, posti di lavoro, risposte, e, quindi, una cooperazione che riguarda anche i flussi migratori.
Diverso è stato l'approccio di chi ha tentato di dire al Presidente Saied e alla Tunisia accettiamo che ti vengano dati dei soldi per fermare a casa tua i migranti illegali che entrano a casa tua, ma sia chiaro che ti consideriamo un impresentabile. Questo non funziona nelle relazioni tra Paesi, ma funziona avere rispetto per i propri interlocutori, funziona costruire e provare a costruire un futuro per i propri interlocutori. Ed è quello che tentiamo di fare ogni giorno.

Dopodiché, ovviamente, quando si fanno accordi di cooperazione si lavora anche per ampliare e favorire la migrazione legale, il cui presupposto però è fermare la migrazione illegale, perché noi lo sappiamo che le due cose sono incompatibili, purtroppo. Lo sappiamo e lo sa benissimo il centrosinistra che ha governato per diversi anni ed è stata costretta ad annullare le quote di immigrazione legale, perché tutte le quote di immigrazione erano coperte da chi entrava illegalmente. E io non credo che questo sia giusto, l'ho detto cento volte e lo ripeterò all'infinito, anche perché tu non puoi dare una vita dignitosa alle persone che entrano in Italia se non sai neanche chi sono, da dove arrivano e che cosa sanno fare.
Lo si può fare quando si è governato un processo e non facciamo finta di non sapere qual è stato il destino che è toccato a tantissimi migranti irregolari, dei quali avevamo raccontato che ci saremmo occupati. 

E questo mi porta anche al tema del rapporto tra la migrazione illegale e i rischi anche per la sicurezza legati agli attentati che abbiamo visto in questi giorni. Guardate, io non penso che sia irragionevole o ideologico, come pure è stato detto, dire che può esserci un nesso tra migliaia di persone che entrano mediate dai trafficanti di esseri umani e il rischio che vi siano anche infiltrazioni fondamentaliste o jihadiste. Io penso che sia piuttosto irragionevole e ideologico negare che quel nesso possa esistere, a maggior ragione quando ne abbiamo avuto prova, a maggiore ragione quando siamo consapevoli che in passato è accaduto. E guardate non si rende la questione più digeribile dicendo ma in buona parte dei casi chi si è reso responsabile di un attentato in Europa era qui da diversi anni. È vero! È vero e mi porta esattamente a quello che sia che stavo dicendo prima e cioè che se alle persone non puoi garantire una vita dignitosa, se pensi che sia solidale farle entrare e poi lasciarle ai margini della società a vendere droga e a doversi prostituire, a non avere niente, matureranno anche, certo, a volte un odio nei tuoi confronti perché sono state ingannate. E sono state ingannate dai trafficanti di esseri umani e sono state ingannate da una politica che ha promesso cose che non poteva dare!
Per questo l'approccio deve mutare e per questo bisogna cercare di mutare l'approccio. 

Dopodiché, veniamo a Schengen. Ho detto stamattina - e lo ripeto - che abbiamo avuto evidenze sui rischi che si corrono in questo particolare frangente e abbiamo deciso di sospendere Schengen, ossia la libera circolazione con la Slovenia. Ne abbiamo parlato - mi pare lo dicesse sempre l'onorevole De Monte - con i nostri omologhi sloveni con i quali da sempre intratteniamo ottimi rapporti e con i quali, anzi, la collaborazione su questa materia è stata sempre molto fitta. Segnalo che ci sono almeno altri 11 Paesi che hanno avviato iniziative di questo genere e dicevo e ribadisco che diversi esponenti europei in questi giorni hanno paventato l'ipotesi che andando avanti di questo passo Schengen possa, di fatto, essere messa in discussione e che con essa possa essere messa in discussione uno dei pilastri dell'unità Europea che è la libera circolazione delle persone. È vero che è un rischio che si corre, è una preoccupazione che condivido, ma proprio per questo ritengo che anche qui - l'ho detto stamattina e lo ripeto - l'unica sfida possibile che risolve questi problemi è fermare l'immigrazione illegale di massa. Se vogliamo aiutare i movimenti secondari, dobbiamo fermare i movimenti primari. 

No, non lo devo dire a nessuno, vi sto dicendo qual è la strategia che il Governo porta avanti. Vi vedo nervosi, non capisco perché siate nervosi. Vi sto dicendo qual è la strategia che il Governo porta avanti, dopodiché è un anno che governo, ne farò altri quattro e alla fine di questi cinque anni chiederò agli italiani che cosa ne pensano, facciamo così! È un anno che governo, ne faccio altri quattro e alla fine di questi cinque anni chiediamo agli italiani cosa ne pensano, perché la democrazia funziona così. So che ad alcuni non piace, ma la democrazia funziona così! 

Quello che stavo cercando di dire è che il tema dei rischi che Schengen corre rafforza la nostra posizione sul problema dei movimenti primari, questo stavo cercando di spiegare. E mi ha colpito che, quando ci sono state alcune nazioni che nei giorni scorsi si sono autoconvocate, particolarmente colpite dal tema dei movimenti secondari, per parlare di questo tema delle sospensioni di Schengen, ho visto un approccio molto diverso da quello che avevo visto in passato, perché in passato si tendeva a scaricare tutta la responsabilità sulle nazioni di primo approdo, segnatamente l'Italia.
Oggi questo non è avvenuto perché tutti capiscono qualcosa che l'Italia spiega, mi dispiace solo da un anno, perché consentitemi di dire anche che sul tema di difendere i confini esterni, fermare l'immigrazione illegale di massa e affrontare il problema nei Paesi di partenza e di transito, eccetera, eccetera, eccetera, e tutta la strategia che sto cercando di portare avanti, mi sono tragicamente resa conto, quando sono arrivata al Consiglio europeo, che l'Italia questo tema non lo aveva banalmente mai posto. L'Italia si era limitata a porre il problema di redistribuire. Si era limitata a questo, perché poi, alla prova dei fatti, su proposte di buon senso a trovare una convergenza non ci è voluto tantissimo.

Il tema dell'allargamento ai Balcani occidentali è stato posto da qualcuno dei colleghi. Voglio ribadire l'impegno totale dell'Italia su quello che a me non piace chiamare allargamento. L'ho detto stamattina e lo ripeto: io la considero piuttosto una riunificazione, nel senso che non sono mai stata convinta, a differenza di altri, che l'Unione europea sia un club nel quale qualcuno decide chi è europeo e chi no.

Penso che chi è europeo e chi no lo abbia già deciso la storia, la civiltà, la geografia. Si tratta semplicemente di capire come facciamo a gestire una riunificazione che chiaramente richiede anche di modificare le proprie priorità, richiede forse per l'Europa di occuparsi di meno cose e di farlo meglio, di occuparsi meglio delle questioni delle quali i singoli Stati nazionali non si possono occupare da soli e meno di ingerire delle questioni che possono essere tranquillamente gestite dagli Stati nazionali.

Quello che voglio dire sui Balcani occidentali è che penso non si debba fare l'errore di immaginare delle corsie preferenziali. Lo dico anche rispetto al dibattito dell'ingresso dell'Ucraina e della Moldova. Non possiamo dare il segnale ai Paesi del Balcani occidentali, che da molto tempo hanno avviato le loro procedure, che qualcun altro ha la priorità. Penso che ogni nazione debba seguire un percorso sulla base di quello che è lo stato delle cose, lo stato delle sue trattative e lo stato, ovviamente, dei parametri di cui dispone, ma che non si debba fare l'errore di lasciare indietro i Paesi dei Balcani occidentali.
Sono per l'Italia una regione strategica, una regione nella quale noi abbiamo sempre giocato un ruolo da protagonisti. Siamo molto apprezzati e molto benvoluti, e credo che sarebbe, soprattutto in questa fase storica e geopolitica, molto importante accelerare il più possibile questa riunificazione.

Dopodiché, alcune cose molto veloci. Sulla transizione ecologica si diceva: non bisogna avere paura della transizione ecologica. Non abbiamo paura della transizione ecologica. Nessuno ha paura della transizione ecologica. Quello di cui abbiamo paura è una transizione ideologica, che è una cosa completamente diversa.

Cioè, abbiamo paura di qualcosa che, imponendo a tappe forzate delle risposte, quando non si sono costruiti i presupposti - che vuol dire, per esempio, autonomia strategica, che vuol dire conversione, che vuol dire mettere i fondi, che vuol dire neutralità tecnologica, che vuol dire una serie di cose che stiamo portando -, ci porta dritti a una desertificazione industriale. E io non penso che sarebbe una grande risposta. Quindi, il tema rimane: transizione ecologica è una cosa importantissima, che va mediata insieme alla sostenibilità sociale e alla sostenibilità economica. Non vuol dire avere paura di qualcosa che non siano le lenti distorte di certa impostazione ideologica.

Dopodiché, colleghi del MoVimento 5 Stelle, ci sono diverse cose da dire, per la verità, nessuna attinente al Consiglio europeo, ma do volentieri qualche risposta.

Sanità. Si dice che abbiamo tagliato i fondi alla sanità. Voglio darvi un dato: 2020, COVID, Fondo sanitario 122 miliardi, Governo Conte; 2024, Governo Meloni, 136 miliardi.
Voglio spiegare agli italiani, già che ci sto, come fanno i partiti dell'opposizione a sostenere la tesi che noi abbiamo tagliato i fondi alla sanità quando, invece, il Fondo sanitario è aumentato di anno in anno. Lo fanno con questo simpatico escamotage del rapporto con il prodotto interno lordo, cioè, in buona sostanza, siccome, cari italiani, durante gli anni in cui governava la sinistra il PIL crollava, i soldi che mettevano nel Fondo sanitario, anche se erano di meno di quelli che mettiamo noi, davano una percentuale più alta in rapporto al PIL. Invece, siccome noi qui lo stiamo facendo crescere, anche se quei soldi aumentano, la percentuale diminuisce. Spero che sia chiaro quello che sta accadendo.
Colleghi, vi vedo nervosi. Non capisco perché siete nervosi. Non dovete essere nervosi, perché il Governo, colleghi, sta andando male e quindi sta per arrivare il vostro momento. Non siate nervosi, sta per arrivare il vostro momento!

Allora, il Governo ha aumentato l'IVA sui prodotti per la prima infanzia: le cose non sono andate esattamente così. Cioè, il Governo aveva tagliato, lo scorso anno, l'IVA sui prodotti per la prima infanzia. Abbiamo deciso di non rinnovare quella misura per un fatto banale, che vi spiego.  Noi non abbiamo rinnovato questa misura per un fatto semplice: non ha funzionato. Non ha funzionato perché, io devo dire la verità, ho controllato e monitorato lungo quest'anno l'andamento dei prezzi sui prodotti per la prima infanzia e, purtroppo, il taglio non ha prodotto quello che speravamo. E vi dico una cosa di come vedo io la politica: quando le cose non funzionano, non si rinnovano. È esattamente quello che avreste dovuto fare voi sul superbonus, invece di scaricare sugli italiani 100 miliardi di debito su una misura per la quale ne avevate previsti 30! Consentitemelo. Invece, dalle parti nostre, quando una cosa non va bene, ce se ne assume la responsabilità.

Sto andando alla conclusione. Salario minimo: qui ho solo una domanda da fare, perché abbiamo parlato del salario minimo molte volte nel merito della vicenda e ce ne occuperemo nei prossimi giorni. Però io, una domanda, ce l'ho da fare, perché sentivo l'intervento di un collega del MoVimento 5 Stelle che diceva che questa è la cosa in assoluto più importante che si possa fare per i lavoratori italiani. Il Presidente Conte interverrà in dichiarazione di voto e spero che mi possa dire perché, in tre anni che è stato alla guida del Governo, il salario minimo non ha deciso di farlo.
E lo dovete spiegare non tanto a me, quanto ai lavoratori che oggi portate in piazza, che io credo siano più intelligenti di quanto li facciate.

Concludo così. Sempre il collega del MoVimento 5 Stelle dice che questo Governo ha portato l'Italia al suo più basso punto di credibilità. Guardi, io penso che questo lo debbano giudicare gli italiani, e lo giudicheranno. Le posso dire, dal mio punto di vista, quale è stato il più basso punto di credibilità che io ho visto di un Governo italiano all'estero e posso dirle che lei non mi vedrà mai, fin quando io governerò questa nostra Nazione, rincorrere al bar un mio parigrado durante i lavori del Consiglio europeo per tranquillizzarlo sul fatto che i membri della mia maggioranza scherzano perché devono dire qualcosa al loro pubblico, ma che, alla fine, si farà quello che vogliono gli altri. Non mi vedrà mai rappresentare l'Italia così, costi quel che costi.
 

25 Ottobre 2023

Direttiva del Presidente del Consiglio dei Ministri 23 ottobre 2023

"Esame delle leggi delle regioni e delle Province autonome di Trento e di Bolzano e delle questioni di legittimità costituzionale ai sensi e per gli effetti dell'articolo 127 della Costituzione. Razionalizzazione dell'attività istruttoria del Governo".

25 Ottobre 2023

Direttiva del Presidente del Consiglio dei Ministri 23 ottobre 2023

"Esame delle leggi delle regioni e delle Province autonome di Trento e di Bolzano e delle questioni di legittimità costituzionale ai sensi e per gli effetti dell'articolo 127 della Costituzione. Razionalizzazione dell'attività istruttoria del Governo".

Consiglio europeo del 26-27 ottobre, l'intervento di replica al Senato

Mercoledì, 25 Ottobre 2023

Signor Presidente, i tempi sono molto brevi. Ringrazio i colleghi che hanno contenuto i loro interventi, per cui io farò altrettanto e mi limiterò a svolgere solo poche considerazioni perché, prima di andare a pranzo al Quirinale, sono contenta se riesco ad ascoltare le dichiarazioni di voto.
Intanto desidero ringraziare tutti i componenti dell'Assemblea del Senato per questo dibattito, in cui l'assenza (salvo casi molto rari) di toni gratuitamente polemici, mi pare dia atto della consapevolezza della fase molto delicata che l'Italia si trova ad affrontare a livello internazionale con i suoi partner. Mi pare che ci sia questa consapevolezza e voglio ringraziare tutti i colleghi che sono intervenuti.
Ho solamente alcune risposte da dare o precisazioni da fare. 

Vorrei dire alla collega Rojc che anche io sono molto dispiaciuta di non aver personalmente potuto partecipare al vertice di Tirana, anche se il primo ministro Rama era informato da tempo di questa mia indisponibilità; comunque abbiamo contribuito con una lettera che è stata inviata al vertice, che purtroppo coincideva con il giorno in cui in Consiglio dei Ministri approvavamo il disegno di legge di bilancio e avevamo la visita del re di Giordania a Roma, quindi per me era impossibile partecipare. Ciò non toglie, senatrice, che io penso che si veda l'impegno italiano, e particolarmente di questo Governo, sulla regione dei Balcani occidentali. È un impegno che ci viene riconosciuto da tutti, in cui non ci sono Nazioni più amiche delle altre, ma che invece ci vede operare per risolvere i problemi, quando è richiesto il nostro aiuto. Anche domani, a margine del Consiglio europeo, ragioneremo di utilizzare la presenza (che dovrebbe esserci) dei vertici della Serbia e del Kosovo per tornare ad affrontare la questione. Non siamo mai mancati su questa vicenda e non mancheremo mai, banalmente perché siamo perfettamente consapevoli del ruolo che viene riconosciuto all'Italia nei Balcani occidentali.
Questo mi porta anche a dire qualcosa di più sul tema dell'allargamento ai Balcani occidentali. Intanto a me non piace chiamarlo allargamento. Io credo che piuttosto dovrebbe parlarsi di riunificazione, perché in quest'Aula ho detto varie volte - e lo ribadisco - che non considero l'Unione europea un club. Non siamo noi a decidere chi sia europeo e chi non lo sia, lo hanno già deciso la storia e la geografia. Noi dobbiamo capire come riusciamo a mettere insieme gli interessi di queste Nazioni con delle regole che possano essere sempre più efficaci. Ritengo pertanto che il ruolo che l'Italia ha giocato e continua a giocare anche per dare un senso e un'accelerazione rispetto agli sforzi che questi Paesi stanno facendo per entrare a tutti gli effetti nell'Unione europea dimostri un nostro impegno sincero in questo senso.

Ciò porta anche a un altro riferimento che faceva il presidente Monti circa il tema delle regole e dell'unanimità. Presidente Monti, fermo restando che il gruppo di lavoro al quale lei faceva riferimento parla delle regole attuali e che quindi non si inseriscono sul tema dell'allargamento, però credo che la questione si ponga seriamente nel momento in cui noi immaginiamo un'Unione europea partecipata da 32, 33, 34 Stati: più si amplia la partecipazione e più chiaramente dobbiamo interrogarci sul funzionamento dell'Unione. Io le dirò la mia opinione: non penso che questo problema si risolva banalmente modificando le regole sull'unanimità, intanto perché non sarebbe un segnale rispettoso verso chi oggi decide di aderire all'Unione europea quello di dire: fino ad oggi abbiamo avuto l'unanimità, adesso che arrivate voi la togliamo. Non sarebbe il mio modo di vederla e inoltre, non funzionerebbe comunque. Io credo che nel momento in cui noi immaginiamo un'Unione europea che rimette insieme i Paesi che fanno parte dell'Europa, dobbiamo discutere di quali siano non le regole ma le priorità: più siamo e meno potremo pensare di occuparci di cose minime. Il paradosso dell'Unione di questi tempi, che io ho denunciato tante volte e per questo sono stata spesso definita euroscettica ed eurocritica, è che noi ci siamo occupati con grande dovizia di particolari di materie che potevano tranquillamente essere lasciata la competenza agli Stati nazionali, occupandosi di quello che era più vicino alla vita dei cittadini, mentre non ci siamo occupati di quello che gli Stati nazionali non avrebbero potuto fare da soli, che erano le grandi strategie.
Non abbiamo avuto una strategia sull'approvvigionamento energetico, non abbiamo avuto una strategia di sovranità sulle materie prime, di catene del valore fondamentali su materie alle quali non potevamo rinunciare, non abbiamo avuto una politica di difesa, non abbiamo avuto una politica estera, non abbiamo avuto quello per cui l'Unione serviva. L'occasione della riunificazione può essere l'occasione di fare i conti con gli errori del passato e di segnare un'Europa che possa fare la differenza, dove gli Stati nazionali non arrivano da soli, perché il principio della sussidiarietà che è iscritto nei Trattati è alla fine l'unico principio che noi non siamo mai stati davvero capaci di applicare. Questo per quello che riguarda il tema dei Balcani.
Non torno sulla questione della crisi mediorientale, perché mi pare che ci sia consenso sulle parole che ho detto. 
Voglio dire al collega Verducci che chiaramente sono d'accordo sul fatto che si debba lavorare ad ogni livello per combattere una propaganda antisemita e una disinformazione che sono diventati uno strumento di queste guerre ibride, lo vediamo oggi per la vicenda mediorientale, come lo vedevamo ieri per la questione dell'Ucraina. Il tema è anche legato a quello dell'intelligenza artificiale, che è un'altra grande questione che intendiamo approfondire e che l'Italia porterà all'attenzione nella sua Presidenza del G7 il prossimo anno. Credo che di questo siamo tutti consapevoli e che siamo tutti orientati a lavorare insieme. Penso - glielo dico davvero senza polemica - che sul tema dell'antisemitismo non valga la pena dividersi e dire che la responsabilità è di qualcuno o di qualcun altro. Lei ha fatto un riferimento preciso, ma se ne potrebbero fare altri. Noi cerchiamo di spiegare da qualche anno che la forma più reale di antisemitismo che oggi noi viviamo nella nostra quotidianità è stata anche legata a un certo fondamentalismo islamico ed è una forma di antisemitismo sulla quale spesso si è preferito chiudere gli occhi, così come abbiamo denunciato a volte che un'altra forma di antisemitismo si nascondeva dietro la presunta critica nei confronti di Israele. È il motivo per il quale in molte occasioni - lo dico da ex membro dell'opposizione - abbiamo chiesto che si facesse riferimento al diritto di Israele a esistere e a difendersi anche negli atti parlamentari che trattavano il tema dell'antisemitismo.  E mi consenta di dirle che non siamo noi che l'abbiamo impedito, ma è stato impedito su richiesta di altri partiti politici. Ma questa è una materia sulla quale è importante continuare a lavorare insieme.

Collega Lorefice, non sono certa che lei abbia definito la sua replica dopo aver ascoltato il mio intervento e non so neanche se dovrei preoccuparmi di aver già detto cose che lei mi chiede di dire e quindi di trovarmi una volta tanto d'accordo, ma è evidente che io non credo che i civili, che siano israeliani o che siano palestinesi, abbiano un peso diverso. È evidente che, come ho detto ampiamente nel mio intervento, la causa palestinese e gli attacchi di Hamas non possono e non devono in alcun modo essere sovrapposti.
Mi pare che diverse cose che lei ha chiesto nel suo intervento siano già state annunciate nel mio, compresa la necessità di una politica di espulsione e di rimpatrio immediato più efficace, che dia oggi la priorità ai soggetti che sono segnalati come radicalizzati. Mi pare di aver annunciato che la Commissione europea già lavora anche su proposta italiana sul tema di una intelligence più efficace nel contrasto a eventuali fenomeni di jihadismo anche in Europa. Sono tutte materie sulle quali, prima che mi venisse chiesto dal MoVimento 5 Stelle, eravamo già al lavoro. Mi consenta di dirle, però, che non sono d'accordo quando lei parla di un “accordicchio” con la Tunisia che non ha prodotto niente, che Saied ha rimandato indietro le risorse dell'accordo.
Credo che su questo sia utile fare un po' di chiarezza. 
Punto primo, l'ho detto in punta di piedi prima e lo ribadisco in punta di piedi oggi: nell'ultimo mese le cose stanno andando molto meglio e questo si deve alle autorità tunisine che stanno facendo la loro parte, sicuramente per un impegno che hanno preso con le autorità italiane, ma anche perché vedono che c'è un approccio diverso nel rapporto con quelle autorità. Le risorse che il presidente Saied rimanda indietro non sono quelle del memorandum con la Tunisia dell'Unione europea, ma sono il contributo al bilancio che era previsto l'anno precedente: questo per dare un'idea anche sui tempi con cui certe cose accadono. Però, guardi, già il fatto stesso di chiamarlo “accordicchio” per me tradisce una lettura sbagliata. Infatti, sa che cosa non funziona nel rapporto con la Tunisia in questo momento? Non funziona che una parte dell'Unione europea si presenti per immaginare una partnership strategica con il governo tunisino e un'altra parte dell'Unione europea tenti di smontare quell'accordo, dichiarare che la Tunisia non è un porto sicuro e dire che Saied è uno stupido dittatore.
Non si può pensare di trattare con dei partner così. Io non credo che si possano trattare i partner così e non credo neanche che sarebbe giusto andare dal presidente tunisino Saied e dirgli: guarda, siccome consideriamo la Tunisia una Nazione che non è alla nostra altezza, fate la cortesia. Noi dobbiamo risolvere il problema dell'immigrazione legale: teneteli voi. Non ho mai chiesto che venisse fatto con il resto d'Europa e non chiedo che venga fatto con la Tunisia. 
Quello che posso chiedere alla Tunisia, a fronte di una partnership strategica con una Nazione che è in difficoltà, portando investitori, garantendo lavoro, aiutando una Nazione in difficoltà, è di avere poi una collaborazione che sia a 360 gradi. Non è stato mio e non è dell'Italia di oggi l'approccio di quelli che ti guardano un po' dall'alto in basso e ti spiegano che loro sono migliori di te. Io non ho quell'approccio e forse per questo, anche nei Paesi africani, anche nei Paesi del Sud globale, oggi l'Italia viene guardata in modo diverso e riesce a essere prima fila di un'Europa che spesso ha fatto questo errore.
Quello non è un “accordicchio” per quello che mi riguarda, ma è l'inizio di una partnership strategica, perché io sono abituata a trattare le altre Nazioni così, particolarmente quelle che hanno bisogno del nostro aiuto ed è quello che farò anche in questo caso. 

Per quello che riguarda il piano Mattei, che risponde a questa strategia, non si preoccupi, perché il piano Mattei verrà confrontato con il Parlamento - come io le ho già detto; non è una cosa astratta che pensiamo di fare da soli. È sicuramente un'iniziativa che oggi fa guardare l'Italia con molto interesse anche dagli altri partner europei. È un'iniziativa sulla quale noi puntiamo a essere pionieri di questo nuovo approccio del quale parlavo anche rispetto all'Unione europea. Essendo un'iniziativa strategica italiana di politica estera (non ne ho viste tante in passato, mi faccia dire anche questo), penso che sia giusto che il Parlamento anche su questo si confronti a 360 gradi.

L'ultima cosa velocemente la dico al senatore Delrio, del quale ho molto apprezzato l'intervento. Su una cosa non sono d'accordo, ovviamente, ma lo ha detto lei prima di me: lei ha detto che non è stata favorita una politica delle porte aperte. Lei fa riferimento al Patto di migrazione e asilo. Il punto, senatore Delrio, che io ho tentato di spiegare tante volte è che la redistribuzione di chi arriva illegalmente in Italia non sarà mai la soluzione di questo problema ed è anzi, purtroppo, un pull factor che finisce per favorire i trafficanti di esseri umani. Io e noi abbiamo votato il nuovo patto di migrazione perché le regole per noi sono più favorevoli, ma non ho mai chiesto di risolvere questo problema scaricandolo sugli altri Paesi europei. C'è un modo solo per risolvere questo problema in maniera tale che tutti ne siano soddisfatti e cioè fermare le partenze illegali.
Questo è un tema che l'Italia - mi dispiace, ne sono oggi più consapevole di quanto non ne fossi ieri, dopo un anno che partecipo ai Consigli europei - non aveva mai posto in Europa. Lo abbiamo cominciato a porre noi e devo dire anche che non c'è voluto moltissimo a convincere, con posizioni di buon senso, anche i nostri partner. 

25 Ottobre 2023

Consiglio europeo, le comunicazioni del Presidente Meloni in Parlamento

Il Presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, ha reso le Comunicazioni al Senato della Repubblica in vista della riunione del Consiglio europeo del 26 e 27 ottobre 2023. Al termine del dibattito generale ha tenuto l'intervento di replica. Nel pomeriggio, alla Camera dei Deputati, al termine della discussione generale ha tenuto l'intervento di replica.

30 Ottobre 2023

Campagna di comunicazione "Censimento permanente della popolazione e delle abitazioni 2023. L'Italia, giorno dopo giorno"

La campagna, realizzata da Istat, ha l’obiettivo di raggiungere tutta la popolazione e in particolare il campione di circa 1 milione 46 mila famiglie coinvolte quest’anno nella rilevazione, in 2531 Comuni sull’intero territorio nazionale, informando dell’importanza e del valore del Censimento. 

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Consiglio europeo del 26-27 ottobre, le Comunicazioni al Senato

Mercoledì, 25 Ottobre 2023

Signor Presidente, Onorevoli Senatori, 
il Consiglio europeo che si apre domani si celebra in una fase storica e in un contesto internazionale ancora più difficili, per certi versi drammatici, dei precedenti. L’Unione Europea è chiamata a dare risposte forti e urgenti alle difficoltà che la sfidano, dall’interno e dall’esterno. Non sarà quindi un Consiglio di routine, non mi aspetto nemmeno un Consiglio per così dire semplice, ammesso che ne siano mai esistiti. 
La discussione sarà inevitabilmente condizionata dai terribili eventi che hanno insanguinato il Medio Oriente. 
Sul tema, prima di ogni altra considerazione, voglio esprimere anche in quest’Aula la mia vicinanza umana ai famigliari delle vittime del terrificante attacco di Hamas dello scorso 7 ottobre, la mia grande preoccupazione per la sorte degli ostaggi di alcuni dei quali ho incontrato ieri i familiari a Palazzo Chigi e il mio profondo sgomento per la brutalità con la quale Hamas si è accanito contro civili inermi, non risparmiando neppure donne, bambini e anziani. La ferocia che abbiamo visto e il tentativo di disumanizzare quello che si ritiene essere il nemico sono concepibili solo quando il fanatismo religioso e ideologico riesce ad obnubilare la ragione e annichilire il senso di umanità. Da italiani, e da europei, è qualcosa che ci spaventa molto, perché sono immagini che abbiamo già visto più volte nella nostra storia, e che ha assunto la forma più atroce proprio nella persecuzione del popolo ebraico. 
Per questo non può esserci nessun’ambiguità nel condannare nel modo più fermo i crimini dei quali Hamas si è reso responsabile; non può esserci nessun distinguo sulla condanna ad ogni forma di antisemitismo, compresa quella di matrice islamica e quella che viene camuffata da avversione allo Stato d’Israele; non devono esserci dubbi nel sostenere il diritto di Israele a esistere e a difendere i propri cittadini e i propri confini, in linea con il diritto internazionale. 
Questa è la posizione del Governo italiano e che il Governo italiano ha espresso in ogni sede, dal Consiglio Europeo – che ha dimostrato grande unità con la dichiarazione congiunta dello scorso 16 ottobre – fino alla conferenza internazionale tenutasi al Cairo la scorsa settimana. E questa impostazione continua e continuerà a guidare la nostra azione. Allo stesso tempo, siamo molto preoccupati dalle conseguenze che il conflitto scatenato da Hamas sta avendo, in particolare sulla popolazione civile palestinese, e dal conflitto su larga scala che ne può generare.

È esattamente questa la ragione per la quale ho deciso di prender parte personalmente alla conferenza del Cairo, scegliendo di essere l'unica nazione membro del G7 a partecipare a livello di leader. Perché considero vitale, in questa fase, il dialogo con i Paesi arabi e musulmani – e l'Italia svolge storicamente un ponte di dialogo tra Europa, Mediterraneo Medio Oriente – per impedire che si cada nella trappola di uno scontro tra civiltà che avrebbe conseguenze inimmaginabili. 
E uso volutamente la parola trappola, perché sono persuasa che la barbarie degli attacchi di Hamas – con miliziani che si mettono una telecamera sulla fronte per riprendere scene impensabili, come la decapitazione di neonati – avesse un obiettivo preciso. E chiaramente quell’obiettivo non era e non poteva essere difendere il diritto del popolo palestinese, che invece viene usato e calpestato dai gruppi fondamentalisti come Hamas e dai loro atti terroristici, ma procurare piuttosto un conflitto molto più esteso, costringendo Israele a una reazione contro Gaza che minasse alla base ogni tentativo di dialogo, che creasse un solco incolmabile tra Israele, Occidente e paesi arabi, alcuni dei quali coraggiosamente avevano tentato invece di normalizzare i rapporti con lo stato ebraico attraverso gli accordi di Abramo. 
La strategia dei fondamentalisti per cancellare lo stato di Israele dalla faccia della terra è una strategia di lungo periodo: rendere Israele una terra inospitale, dalla quale scappare se si vuole vivere in pace, se si vuole avere il diritto di far crescere i propri figli, e il processo di normalizzazione che stava avvenendo nella regione comprometteva quella strategia. 
Dunque noi dobbiamo essere consapevoli degli schieramenti in campo. Da una parte c’è chi lavora ad un processo di normalizzazione dei rapporti nel Medio Oriente e per una prospettiva di collaborazione sempre più stretta tra tutti i soggetti in campo; dall’altra c’è chi ha interesse ad alimentare lo scontro e a sottolineare i punti di divisione. Nel mondo arabo e, con forme e intensità diverse, al di fuori del mondo arabo. E tutti coloro che sono dalla parte giusta di questo scontro devono lavorare insieme per impedire una escalation del conflitto. Un’estensione che porterebbe con sé il rischio di coinvolgimento di nuovi attori regionali a partire da Libano e Siria, potenze come l’Iran, fino ai grandi player geopolitici come Russia e Cina che di certo non disdegnerebbero vedere distolte le attenzioni dell’Occidente da altri scenari critici.
I civili di Gaza, i diritti del popolo palestinese e le istituzioni che lo rappresentano legittimamente – a partire dall’Autorità Nazionale Palestinese - sono essi stessi vittime della politica di Hamas, e le due cose non devono essere sovrapposte. Nessuna causa potrà mai giustificare il terrorismo. Nessuna causa potrà mai giustificare un’aggressione terroristica scientemente preordinata e organizzata per colpire civili innocenti del tutto estranei alle dinamiche militari. Nessuna causa potrà mai giustificare il rapimento o l’uccisione, casa per casa, di donne e bambini.
Di fronte ad azioni di questo tipo, uno Stato è pienamente legittimato a rivendicare il proprio diritto all’esistenza, alla difesa e alla sicurezza dei propri cittadini e dei propri confini. Ma la reazione di uno stato non deve mai essere motivata da sentimenti di vendetta. Uno stato fonda la sua reazione sulla base di precise ragioni di sicurezza, commisurando la sua forza e tutelando la popolazione civile. Questo è il confine nel quale la reazione di uno stato di fronte al terrorismo deve rimanere, e sono fiduciosa che sia anche la volontà dello Stato di Israele. Siamo consapevoli che il punto di equilibrio tra una reazione necessaria e una sproporzionata, in un contesto nel quale Hamas si fa volutamente scudo della popolazione civile, sia in assoluto la cosa più difficile, ma perseguire questo equilibrio è la principale delle nostre responsabilità. 
Nondimeno, il governo fa appello a Israele affinché vengano preservati i luoghi di culto nella striscia, a partire da quelli cristiani.

La nostra priorità immediata rimane l'accesso umanitario, indispensabile per evitare ulteriori sofferenze della popolazione civile ma anche esodi di massa che contribuirebbero a destabilizzare il Medio Oriente e in ultima istanza anche l’Europa. In questo senso il Governo ha accolto con favore l’istituzione, da parte israeliana, di una zona umanitaria nella Striscia di Gaza, così come la decisione della Commissione Europa di triplicare gli aiuti umanitari europei a Gaza, portandoli ad oltre 75 milioni di euro. Sulle polemiche dei giorni scorsi sulla possibile sospensione degli aiuti europei di assistenza allo sviluppo, voglio specificare che si tratta esclusivamente di una revisione degli stessi per escludere che anche solo un euro possa arrivare ad Hamas. Si tratta di somme rilevanti – 1,17 miliardi di euro per il periodo 2021-24 – che contribuiscono per oltre il 10% al bilancio dell’Autorità Nazionale Palestinese e che ben testimoniano l’impegno europeo in Medio Oriente. Da parte italiana poniamo la massima attenzione alla destinazione degli aiuti, oltre 45 milioni di euro tra il 2022 e il 2023 e ulteriori 58 milioni di crediti in aiuto. E ci impegniamo a verificare sistematicamente che, in nessun modo, organizzazioni terroristiche ne possano beneficiare. 
Siamo, inoltre, molto preoccupati per la sorte degli ostaggi nelle mani di Hamas, anche se il giovane cittadino italiano Nir Forti, e i due coniugi italo-israeliani Eviatar Moshe Kipnis e Liliach Lea Havron non ce l’hanno fatta. Penso di rappresentare il sentimento dell’intera aula e dell’intera Nazione nel ribadire la nostra vicinanza e il nostro affetto ai loro figli, ma anche nel richiedere con forza l’immediato rilascio di tutti gli altri ostaggi, a partire da donne, bambini e anziani.
Allo stesso modo, continuiamo a lavorare assieme ai nostri partner e ai nostri alleati per l’uscita dei civili stranieri ed europei, in particolare da Gaza. Noi abbiamo 19 connazionali che attendono di uscire ed un rapido ripristino del valico di Rafah, attualmente inagibile e pericoloso, è un passaggio essenziale sul quale lavoriamo con costanza.

Su tutti questi obiettivi sono personalmente impegnata in una fitta rete di contatti e incontri, così come il Ministro degli Esteri, per continuare a incoraggiare i partner arabi, e le altre parti interessate, a svolgere un ruolo costruttivo per evitare un ulteriore allargamento del conflitto. In questi giorni mi sono confrontata più volte con il Primo Ministro israeliano Netanyahu, con il Presidente israeliano Herzog, con il Presidente dell’Autorità Nazionale Palestinese Abu Mazen, con il Primo Ministro libanese Mikati, il Presidente degli Emirati Arabi Uniti Mohammed bin Zaied, l’Emiro del Qatar Al Thani, il Re Abdullah II di Giordania, il Presidente egiziano Sisi, il Presidente algerino Tebboune e il Re del Bahrein Hamad. E ho partecipato alle riunioni del Quint con i leader di Usa, Regno Unito, Francia, Germania. 
In tutti i contesti, e con tutti gli interlocutori, ho sottolineato l’importanza di contribuire alla de-escalation del conflitto e riprendere quanto prima un’iniziativa politica per la regione, non solo per risolvere l’attuale crisi ma per arrivare a una soluzione strutturale sulla base della prospettiva “due popoli, due Stati”. Prospettiva che deve avere come presupposto, da parte di tutti gli attori presenti nella regione, il riconoscimento all’esistenza e alla sicurezza dello Stato d’Israele.E su questo, come sapete, c’è totale convergenza di vedute e di intenti tra gli Stati Membri della UE. Personalmente sono convinta che lavorare concretamente, e con una tempistica definita, a una soluzione strutturale per la crisi Israelo palestinese sarebbe anche il modo più efficace possibile per svelare il bluff di Hamas agli occhi dei palestinesi e contribuire a sconfiggerlo.

La crisi in Medio Oriente, neanche a dirlo, ci riguarda direttamente. Riguarda l'Italia, riguarda l’Europa riguarda l’occidente. Non solo per le conseguenze che potrebbe creare, ma anche perché un mondo nel quale saltano non solo il diritto internazionale ma anche le più elementari regole di convivenza tra Stati e popoli, è un mondo che rischia di piombare nel caos. È quello che il Governo italiano sostiene fin dall’inizio con la guerra d’aggressione della Russia all’Ucraina ed è quello che ribadiamo anche oggi in quest’Aula: un mondo in cui non esistono più linee rosse invalicabili è un mondo meno sicuro e meno giusto per ciascuno di noi, non solo per gli Stati e i popoli direttamente coinvolti nei conflitti. 
L’allargamento del disordine nello scenario mondiale conviene solo a chi ha interesse a metter fine al complesso sistema di regole sul quale si basa la convivenza pacifica tra gli Stati. E non è un caso che non ci sia stata una specifica condanna da parte della Federazione Russa del feroce attacco di Hamas e che, addirittura, risultino apprezzamenti da parte di Hamas per la posizione del Presidente Putin sulla questione. Anche per questa ragione, il Consiglio europeo intende confermare il suo convinto sostegno al popolo ucraino che da 608 giorni combatte per la libertà e l’indipendenza della propria Nazione. Non dobbiamo commettere l’errore di affievolire il nostro comune sostegno alla causa ucraina. Su questo, la chiara posizione del governo italiano è riconosciuta e apprezzata dai nostri partner e rafforza il peso della nostra Nazione nei contesti europei e internazionali, dove è sempre più evidente il valore aggiunto che l’Italia può portare in termini di concretezza e diplomazia. E di questo, come ho già ripetuto in passato, dovremmo andare tutti fieri, perché rientra nel nostro interesse nazionale sostenere l’Ucraina e giungere a una pace giusta, nel pieno rispetto del diritto internazionale. Questo è il nostro obiettivo, e il nostro impegno si estende anche alla definizione delle future garanzie di sicurezza delle quali dovremmo discutere in vista dei negoziati di adesione dell’Ucraina all’Unione europea, e alla sfida della ricostruzione. Guardiamo cioè non solo al presente, ma a un futuro di pace e benessere, a un futuro europeo, per l’Ucraina. 
Sul fronte della sicurezza alimentare, continuiamo a condannare la decisione di Mosca di non rinnovare l'iniziativa sui cereali del Mar Nero e sosteniamo tutti gli sforzi per assicurare che i prodotti agricoli possano raggiungere i mercati internazionali, perché quella scelta impatta soprattutto sui paesi più in difficoltà, è una guerra condotta contro i poveri. 
E guardate non è probabilmente un caso se in questo contesto nel quale vengono minate le regole del diritto internazionale gli scenari di crisi vadano moltiplicandosi, descrivendo una tensione crescente a livello globale.

Al Consiglio Europeo parleremo, dunque, anche di quanto sta accadendo nel Caucaso, delle tensioni crescenti tra Azerbaigian e Armenia, dell’esodo di decine di migliaia di cittadini di origine armena dal Nagorno-Karabakh, del rischio che si apra un nuovo fronte di destabilizzazione. E anche questo fronte richiama la comunità internazionale e l’Europa, in particolare, ad un’azione più incisiva per evitare un’escalation. Allo stesso tempo ci confronteremo su come l’Unione Europea ed i suoi Stati membri possano meglio sostenere il dialogo e la normalizzazione dei rapporti tra Serbia e Kosovo, in un contesto – quello dei Balcani occidentali – nel quale il ruolo di mediazione giocato dall’Italia è da tutti riconosciuto e apprezzato. Parleremo, infine, anche dei danni riportati dalle interconnessioni energetiche tra Estonia e Finlandia e su come rafforzare la capacità europea di difendere le sue infrastrutture strategiche. 
Ma la crisi in medio oriente ci riguarda direttamente anche per un’altra ragione, che sarà anche essa oggetto della discussione in Consiglio Europeo, ed è la questione della migrazione illegale, e dei rischi per la nostra sicurezza che questo fenomeno può portare con sé, ancora di più nell’attuale scenario. 
Perché tutti i confini europei sono sottoposti ad una pressione migratoria senza precedenti, a causa soprattutto di una fascia di instabilità che si salda dall’Atlantico al Mar Rosso, fino all’Oceano Indiano, e un fenomeno di questa portata ci impone di contrapporre all’irragionevolezza ideologica la concretezza del buon senso.
E perché inquieta vedere ricomparire nelle nostre strade il fenomeno dei lupi solitari, che uccidono innocenti pretendendo di farlo in nome di Dio, con tanto di successive rivendicazioni a nome dello Stato Islamico.
Vogliono tornare a colpire la nostra libertà, il nostro stile di vita. Vogliono vederci impauriti e pronti a rinunciare alla nostra quotidianità, e la nostra risposta, in Europa, deve essere forte e inequivocabile. Non ci riusciranno.
Abbiamo quindi il dovere di alzare la guardia, come abbiamo fatto a partire dall’implementazione delle misure di protezione delle comunità ebraiche e dei luoghi sensibili in tutta Italia. E come hanno fatto nelle ultime ore le nostre forze dell’ordine - che ringrazio a nome di tutti gli italiani per lo straordinario lavoro che svolgono ogni giorno al servizio della nazione - assicurando alla giustizia fondamentalisti pronti a colpire in qualsiasi momento.

Dobbiamo fare i conti anche con questo scenario, con i rischi connessi all’infiltrazione diretta di jihadisti dal Medio Oriente ma anche alla radicalizzazione durante la loro permanenza sui nostri territori di immigrati, spesso irregolari, ingannati dai trafficanti di esseri umani e impossibilitati a trovare qui ciò che avrebbero voluto.
Dobbiamo avere il coraggio di dire che può esistere, purtroppo, un legame tra terrorismo e immigrazione irregolare, e che ha sbagliato chi finora, per riflesso ideologico, ha liquidato con sufficienza questo possibile nesso, temendo una stretta rispetto alle politiche fallimentari delle porte aperte che abbiamo conosciuto in passato. 
Così come ha sbagliato chi non ha sviluppato fino a oggi un sistema di interscambio di informazioni più efficace e una politica comune dei rimpatri degli immigrati irregolari, a partire da quei soggetti segnalati come radicalizzati.
Oggi il governo italiano sostiene con forza ogni sforzo in questa direzione. La Commissione europea ha annunciato un intervento legislativo urgente su questa materia. L’Italia coglie con favore questo impegno e lavorerà intensamente con i partner europei affinché questa misura sia effettiva, efficace e di rapida attuazione.
Ma, su tutto, esiste a maggior ragione la necessità urgente di lavorare per fermare i flussi migratori irregolari.
Occorre qui distinguere due tipologie di immigrazione irregolare che colpiscono l’Italia. In primo luogo quella via mare, rispetto alla quale ancora una volta dobbiamo ribadire che non possiamo accettare siano i trafficanti di esseri umani a fare la selezione di ingresso di chi ha diritto o non ha diritto ad entrare nel territorio italiano. E in secondo luogo quella via terra, che segue la rotta balcanica e che spesso si alimenta di un traffico più sofisticato attraverso passaporti falsi forniti ai migranti, che rende molto più difficile il filtraggio e l’individuazione degli irregolari.
I più recenti rapporti della nostra intelligence ci hanno confermato che proprio dalla rotta balcanica e da queste modalità operative di infiltrazione possono arrivare per noi i maggiori rischi ed è questa la ragione che ha spinto il governo a intervenire tempestivamente, sospendendo Schengen e ripristinando i controlli alla frontiera con la Slovenia. 
Voglio ringraziare le autorità e le forze dell’ordine di Slovenia e Croazia che non hanno mai fatto mancare finora la loro collaborazione. Sono finora ben 11 gli Stati europei che negli ultimi giorni hanno adottato provvedimenti simili verso altri Paesi europei confinanti.
Alcuni importanti esponenti politici europei hanno commentato questa circostanza mettendo in guardia dal rischio che, continuando su questa strada, Schengen possa andare in frantumi e con esso uno dei pilastri dell’integrazione europea: che è la libera circolazione. É un rischio evidente e una preoccupazione che condividiamo. Ma a maggior ragione, l’unico modo per impedire anche questa deriva è lavorare per difendere i confini esterni dell’Unione. Lavorare sui movimenti primari è la condizione necessaria per garantire i movimenti secondari.
Ed è una evidenza che ormai comprendono tutti, perché non posso non notare come nelle parole dei rappresentanti di alcuni Paesi europei particolarmente toccati dai cosiddetti movimenti secondari che si sono auto-convocati alcuni giorni fa, si scorga una sensibilità completamente nuova: non si tende più a scaricare il peso di questa enorme responsabilità sugli Stati di primo approdo come l’Italia, ma si riconosce per intero che l’unica risposta possibile sta nel difendere i confini esterni. 
Considero questa nuova sensibilità non soltanto il frutto di numeri insostenibili in termini di arrivi di migranti irregolari o delle drammatiche circostanze che stiamo vivendo in questi giorni a seguito degli attentati jihadisti in Europa. La considero anche il frutto del lavoro incessante che questo governo ha svolto, fin dal giorno del suo insediamento, in sede europea e internazionale per arrivare ad un cambio di approccio serio e definitivo nella gestione della migrazione.

Non più porte aperte e redistribuzione, ma protezione dei confini esterni, lotta senza quartiere al traffico di esseri umani, accordi con i Paesi terzi, canali legali per rifugiati e quote di immigrati regolari compatibili con i bisogni del nostro sistema economico. 
È l’approccio che abbiamo sostenuto in questo anno e che ha trovato accoglimento in più di un documento ufficiale, è quello che ha ispirato il memorandum Ue-Tunisia e ha portato la Commissione europea a presentare il piano di azione in dieci punti illustrato dalla Presidente Ursula Von der Leyen a Lampedusa.
La stessa Presidente ha inviato in queste ore una lettera al Consiglio dando atto dei passi concreti fatti in questa direzione e annunciando, tra l’altro, un provvedimento imminente per rafforzare il quadro giuridico e le politiche europee di contrasto al traffico di esseri umani. È un impegno significativo che siamo pronti a sostenere. 
E permettetemi inoltre di accogliere con soddisfazione le parole del Commissario europeo Johansson che qualche giorno fa ha dato atto della significativa riduzione delle partenze dalla Tunisia registrata nelle ultime settimane, lo dico in punta di piedi, per la prima volta nel mese di ottobre il numero di migranti irregolari è diminuito rispetto a l'anno precedente. É certamente il frutto di una rafforzata volontà politica di portare avanti quell’accordo nonostante una parte politica abbia agito in tutti i modi per provare a sabotarlo, non comprendendo che così avrebbe fatto un danno agli italiani e un grande favore ai trafficanti di esseri umani. 
Ma questi dati sono anche il frutto di un’azione bilaterale condotta dall’Italia con il governo tunisino, volta a rafforzare la cooperazione nel contrasto al traffico di migranti. Sappiamo che questo quadro deve essere stabilizzato, ma è la strada giusta e dobbiamo perseguirla senza tentennamenti.
Dunque, nell’ambito della discussione sull’immigrazione che terremo in Consiglio, l’Italia sosterrà ancora una volta con forza: l’immediata implementazione dell’accordo con la Tunisia; la piena attuazione del Piano di azione in dieci punti presentato dalla Commissione europea; il varo di una missione navale europea, in accordo e in collaborazione con le autorità del nord africa, ma sia chiaro che per ottenere questa non difficile disponibilità da parte delle autorità del nord Africa è anche necessario un radicale cambio di rapporto con queste autorità, basato sul rispetto e non su un atteggiamento  paternalistico e predatorio, come purtroppo spesso è accaduto in passato. E poi ancora la necessità di rafforzare i meccanismi di cooperazione di intelligence e di polizia al fine di contrastare più efficacemente le infiltrazioni jihadiste, e una più efficace politica di espulsione immediata dei soggetti segnalati come radicalizzati e di rimpatrio, che deve essere messa in campo dall’Unione europea nel suo complesso e non semplicemente dai singoli stati.

Non solo. L’Italia sosterrà anche la necessità di integrare il Quadro finanziario pluriennale 2021-2027 con adeguati stanziamenti per le politiche migratorie, sia quelle di contrasto ai flussi irregolari, sia quelle di cooperazione con i Paesi di origine e di transito dei flussi, con l’obiettivo di dare corpo allo spirito della conferenza di Roma del luglio scorso e di rafforzare la proposta italiana di un Piano Mattei per l’Africa. 
Sappiamo che non sarà una partita facile, perché ad oggi prevale in Consiglio una sensibilità diversa che vuole limitare l’incremento del bilancio pluriennale alle voci di spesa che riguardano l’Ucraina, ma noi riteniamo invece che sia necessario raggiungere un’intesa entro la fine dell’anno e che questa intesa debba riflettere una logica di pacchetto. Lo dico con chiarezza: sarebbe un errore rivedere il bilancio pluriennale solamente per aumentare gli aiuti all’Ucraina, perché se non fossimo in grado di rispondere alle conseguenze che il conflitto in Ucraina genera per i nostri cittadini finiremmo inevitabilmente per indebolire anche il sostegno a quella causa. 
Nella nostra idea, la logica di pacchetto prevede certo il sostegno finanziario all’Ucraina, ma deve come dicevo prevedere anche lo sviluppo dei partenariati con i Paesi del Vicinato Sud e dell’Africa, in particolare con quelli di origine e transito dei migranti, e deve prevedere la necessità di mantenere alta l’ambizione della proposta di Regolamento “STEP”, la piattaforma che rappresenta il primo embrione di un “fondo sovrano europeo”, che consentirà di investire insieme nuove risorse sui settori tecnologici più avanzati e, in questo contesto, di rendere più flessibile l’utilizzo delle risorse esistenti, in particolare in ambito di coesione. Si tratta di uno strumento fondamentale per garantire parità di condizioni nel mercato unico a fronte della decisione di allentare le norme sugli aiuti di Stato, una scelta che mette inevitabilmente in una condizione di vantaggio gli Stati membri che hanno una più ampia capacità fiscale. Abbiamo già avuto modo di far presente che la diversa capacità degli Stati membri dell’Unione di sostenere i rispettivi settori produttivi rischia di violare i presupposti alla base del mercato unico europeo e che non si può non tenerne conto nella discussione sul prossimo Quadro finanziario pluriennale.
Tutto ciò che parla di autonomia strategica, sostanzialmente di sovranità, dell’Unione europea viene da questo governo sostenuto.
Mi riferisco al Chips Act, la legge europea sui semiconduttori; al critical raw materials Act, la legge sulle materie prime critiche, e, appunto, a STEP, l’iniziativa per le tecnologie critiche. In buona sostanza mi riferisco a tutto ciò che serve a sostenere la doppia transizione limitando e auspicabilmente diminuendo la nostra dipendenza dai Paesi terzi, in particolare modo dalla Cina e dai Paesi asiatici.

L’Italia sostiene questi provvedimenti, e ritiene che gli stessi debbano essere adeguatamente finanziati. Ma riteniamo anche che imporre a tappe forzate alcuni provvedimenti del Green Deal senza aver precedentemente agito per ridurre le nostre dipendenze strategiche sia un errore che rischia di impattare pesantemente sui cittadini che potrebbero trovarsi a pagare un prezzo insostenibile alla doppia transizione.
É per questo che il governo continuerà a sostenere in sede europea la necessità di un approccio pragmatico e non ideologico alla transizione, che noi vogliamo impostata su valutazioni di impatto ampie e affidabili, su criteri di gradualità e di sostenibilità economica e sociale, sul principio di neutralità tecnologica e su strumenti finanziari di incentivazione e di accompagnamento per le imprese e per i cittadini.
La doppia transizione, se ben impostata, può essere uno straordinario strumento per rafforzare la competitività europea oppure, al contrario, se perseguita con un approccio miope, può portare ad una irreparabile desertificazione industriale del nostro continente. E noi questo non intendiamo permetterlo.
In questo quadro si inserisce il dibattito sulla revisione delle regole fiscali europee, un tema non formalmente in agenda in questo Consiglio, perché ancora in discussione al livello dei Ministri dell’economia, ma su cui il Governo italiano ha un’impostazione chiara: si deve trattare di un patto di crescita e stabilità e non di un patto di stabilità e crescita. 
L’Unione europea ha individuato nella doppia transizione, verde e digitale, i pilastri della sua futura crescita. In questa direzione ha da un lato orientato buona parte degli investimenti previsti dai Pnrr nazionali e dall’altro richiesto agli Stati membri ulteriori significativi sforzi di finanziamento di queste priorità.
Analogamente l’Unione ci chiede di continuare ad investire sulla difesa e sugli strumenti di sostegno all’Ucraina e noi non vogliamo, come detto, venir meno a questo impegno.
In questo quadro, computare questi investimenti che vengono promossi, anche da Bruxelles, nei parametri deficit-Pil, ci sembra un controsenso che rischia di minare proprio gli obiettivi di sostenibilità e di sicurezza che ci siamo dati. Per questo continueremo a sostenere la necessità di scorporare, in tutto o in parte, queste voci.

Inoltre, le nuove regole devono senz’altro mirare ad una riduzione del debito pubblico ma in modo graduale e sostenibile, perché solo così potranno essere credibili e applicabili, superando gli errori del passato. Lo possiamo dire dall’alto della credibilità che abbiamo dimostrato in questo anno di governo, con politiche fiscali e di bilancio serie e responsabili, che hanno incontrato la fiducia sia dei risparmiatori italiani (come si vede dal successo riscontrato dell’emissione dei nostri titoli di Stato) che dei mercati (Piazza Affari è infatti tornata ai livelli pre-crisi 2008 e lo spread, tanto caro a molti, è stabilmente al di sotto dei livelli che c’erano prima che questo governo si insediasse).
A margine del Consiglio Europeo avrà luogo, infine, il Vertice Euro dove, alla presenza della Presidente della Banca Centrale Lagarde e del Presidente dell’Eurogruppo Donohoe, discuteremo delle prospettive economiche dell’Unione dal punto di vista finanziario e anche alla luce delle più recenti dinamiche dei tassi di interesse. E ci confronteremo ovviamente sulle iniziative da adottare.
In conclusione, colleghi, come vi ho detto all’inizio del mio intervento sarà un Consiglio importante e allo stesso tempo non privo di criticità. Un Consiglio nel quale, prima e più che una serie di provvedimenti concreti, io mi aspetto una discussione franca sulla visione e sulla missione che vogliamo svolgere come europei in un mondo che ci sollecita a sfide sempre più stringenti e sempre più drammatiche.
L’Italia affronterà questa discussione con le idee chiare e la schiena dritta, la credibilità che ha saputo conquistarsi in questo anno, smentendo in poco tempo anche i più scettici.
Lo abbiamo fatto grazie a una visione coerente e definita, alla fiducia degli italiani che sentiamo forte alle nostre spalle, grazie al sostegno di una maggioranza politica compatta figlia di quella fiducia, fatevene una ragione, grazie a un governo che ha finalmente un orizzonte di legislatura, grazie a un lavoro serio e incessante che ha fatto comprendere a tutti che abbiamo l’orgoglio di rappresentare una Nazione straordinaria e abbiamo soprattutto la capacità e la volontà di giocare ogni partita da protagonisti.
Perché siamo l’Italia e finalmente ne siamo consapevoli. Vi ringrazio.

25 Ottobre 2023

Consiglio europeo, le comunicazioni del Presidente Meloni in Parlamento

Il Presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, ha reso le Comunicazioni al Senato della Repubblica in vista della riunione del Consiglio europeo del 26 e 27 ottobre 2023. Al termine del dibattito generale ha tenuto l'intervento di replica.
Nel pomeriggio, alla Camera dei Deputati, al termine della discussione generale ha tenuto l'intervento di replica.

25 Ottobre 2023

Campagna di comunicazione per la vaccinazione contro il Covid e l’influenza stagionale

L’iniziativa di comunicazione, promossa dal Ministero della Salute, mette in evidenza come la vaccinazione rimanga un fondamentale strumento di prevenzione per proteggersi dal Covid e dall’influenza stagionale. Durante la stagione influenzale gli anziani e i soggetti fragili rappresentano le categorie più a rischio di complicanze per la salute, ancor più quest’anno in considerazione del perdurare della diffusione di Sars-Cov2.

Obiettivi

Obiettivo della campagna è promuovere la vaccinazione contro il Covid -19 e l’influenza stagionale per proteggere sé stessi e gli altri.

25 Ottobre 2023

Consiglio europeo, le comunicazioni del Presidente Meloni in Parlamento

Il Presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, ha tenuto alla Camera dei Deputati l'intervento di replica a seguito della discussione sulle Comunicazioni in vista del Consiglio europeo del 26 e 27 ottobre 2023.
In mattinata ha reso le Comunicazioni al Senato della Repubblica e, al termine del dibattito generale, ha tenuto l'intervento di replica.